Alle auto a propulsione elettrica viene spesso rimproverato il fatto che le loro batterie, dopo il servizio nel veicolo e il riutilizzo in quella che viene chiamata “second life”, rimangono comunque rifiuti non riciclabili e sono quindi nocive per l’ambiente. Già oggi, però, le batterie esauste vengono per gran parte riciclate e possono essere utilizzate per la produzione di nuove batterie.

Di quali materiali si tratta?

Se verso il termine della sua vita utile, le prestazioni di una batteria si riducono in modo eccessivo, essa può essere inviata al processo di riciclo. Alcuni dei materiali contenuti sono molto richiesti e di costoso approvvigionamento, per cui già ora il riciclo, nonostante la quantità ridotta di batterie disponibili, risulta ragionevole dal punto di vista economico come da quello ecologico.

Principalmente si tratta di materiali quali alluminio, acciaio e naturalmente di importanti elementi per la realizzazione dei componenti reattivi (elettrodi ed elettroliti), quali litio, manganese, cobalto, nichel e grafite. La proporzione di questi componenti varia costantemente in base al livello di sviluppo della batteria: presto infatti potranno essere impiegati anche accumulatori di energia senza cobalto o grafite come materiale degli elettrodi.

Il processo ha inizio da una prima fase di smantellamento. A ciò segue la frantumazione o la fusione del sistema della batteria in modo da poter infine separare e riutilizzare i materiali.

Aziende diverse, processi diversi di riciclo delle batterie

Metodi efficienti di riciclo delle batterie delle auto elettriche sono ancora in una fase di sviluppo, ma sono utilizzabili già oggi e sono stati implementati con successo da alcune aziende.
Attualmente i due processi più importanti sono la fusione pirometallurgica e la dissoluzione idrometallurgica in sostanze chimiche.

Nel processo di fusione le batterie vengono fuse ad alte temperature, consentendo la combustione dei componenti non riciclabili; da qui anche la denominazione UHT (Ultra High Temperature Smelting). Il cobalto così estratto può quindi essere rivenduto come ossido di cobalto-litio ai produttori di batterie. Secondo la Tesla, questo processo ad alto consumo di energia è comunque molto ecologico, in quanto consente un risparmio del 70% di CO₂ rispetto all’estrazione di tali materiali.

Il procedimento idrometallurgico utilizza invece sostanze chimiche al posto del calore per sciogliere chimicamente le batterie precedentemente frantumate.

L’azienda tedesca Duesenfeld ha sviluppato un metodo notevolmente più efficiente in termini energetici rispetto alla fusione. Oltre al cobalto e al nichel, esso consente il recupero di litio, manganese e grafite: un’operazione non possibile con gran parte degli altri processi. In questo processo le batterie vengono frantumate in un ambiente contenente azoto a bassa temperatura, senza che si verifichino reazioni infiammabili o la formazione di composti tossici di fluoro.

Altra caratteristica unica è che l’elettrolita della batteria può essere in questo caso raccolto e riutilizzato nell’industria chimica. La “massa nera” derivante dal materiale granulare frantumato viene trattata con procedimento idrometallurgico e ulteriormente lavorata ottenendo sali metallici riutilizzabili. In tal modo già oggi è possibile riciclare fino al 91% di tutti i componenti delle batterie con un’impronta di CO₂ fino al 40% inferiore rispetto ai procedimenti tradizionali.

Conclusione

Spesso si fa notare, con preoccupazione per l’ambiente, che le auto elettriche sono correlate a un’impronta di CO2 da non sottovalutare per via della produzione delle batterie. In realtà, proprio queste batterie, anche dopo l’impiego nell’auto e successivamente come accumulatori fissi, contengono proprio quelle materie prime con le quali possono essere costruite nuove batterie. Ne deriva così un ciclo dei materiali chiuso considerevolmente più ecologico di quanto generalmente si pensi.